Paul Krugman si associa a Martin Wolf nel criticare le scelte di austerity (auto)-imposte all'Irlanda. Ma a differenza di Wolf, che pure non aveva usato mezze misure, Krugman utilizza ogni mezzo retorico per sostenere la sua tesi, anche estremo. Così inizia con queste parole il suo Op-Ed sul New York Times di qualche giorno fa:
What we need now is another Jonathan Swift.
Most people know Swift as the author of “Gulliver’s Travels.” But recent events have me thinking of his 1729 essay “A Modest Proposal,” in which he observed the dire poverty of the Irish, and offered a solution: sell the children as food. “I grant this food will be somewhat dear,” he admitted, but this would make it “very proper for landlords, who, as they have already devoured most of the parents, seem to have the best title to the children.”
Nel leggerlo mi sono ricordato di una scena tratta dal "Senso della vita" dei Monty Phyton...Il padre di una numerosissima famiglia cattolica viene licenziato e annuncia alla famiglia di essere stato costretto a vendere i (63!) figli come cavie umane per esperimenti scientifici...
Krugman ricorda poi la battuta che circolava all'inizio del 2009 nel mondo degli hedge funds (La differenza tra Islanda e Irlanda? Una consonante e sei mesi di tempo!) e che non sta mancando di avverarsi con solo qualche mese di ritardo. Tranne però che i poveri irlandesi non hanno la fortuna di poter svalutare per attenuare l'entità della crisi: le 10 sterline irlandesi che ritraggono proprio Jonathan Swift e che vedete riprodotte qui sotto se reintrodotte renderebbero più sopportabile la recessione. Scrive Krugman:
But at this point Iceland seems, if anything, to be doing better than its near-namesake. Its economic slump was no deeper than Ireland’s, its job losses were less severe and it seems better positioned for recovery. In fact, investors now appear to consider Iceland’s debt safer than Ireland’s. How is that possible?
Part of the answer is that Iceland let foreign lenders to its runaway banks pay the price of their poor judgment, rather than putting its own taxpayers on the line to guarantee bad private debts. As the International Monetary Fund notes — approvingly! — “private sector bankruptcies have led to a marked decline in external debt.” Meanwhile, Iceland helped avoid a financial panic in part by imposing temporary capital controls — that is, by limiting the ability of residents to pull funds out of the country.
And Iceland has also benefited from the fact that, unlike Ireland, it still has its own currency; devaluation of the krona, which has made Iceland’s exports more competitive, has been an important factor in limiting the depth of Iceland’s slump.
None of these heterodox options are available to Ireland, say the wise heads. Ireland, they say, must continue to inflict pain on its citizens — because to do anything else would fatally undermine confidence.
But Ireland is now in its third year of austerity, and confidence just keeps draining away. And you have to wonder what it will take for serious people to realize that punishing the populace for the bankers’ sins is worse than a crime; it’s a mistake.
Intanto a Spagna e Portogallo sono da tempo nel mirino dei mercati e numerosi hedge funds stanno scommettendo al ribasso sulle obbligazioni di questi paesi. Quello che mi preoccupa però è leggere sul Wall Street Journal che nel valutare il rischio di contagio al di là dei PIGS bisogna guardare al Belgio! Secondo Richard Barley
Contagion has swept through the geographic edge of the euro zone—and it may not stop there. The cost of insuring $10 million of Belgian sovereign debt through credit default swaps leapt Friday to a new record of $163,000 a year. While this is far below the $605,000 charged to insure Irish debt, the cost has been steadily rising since late summer. Yields on 10-year Belgian bond have risen to 3.68%, more than a full percentage point over Bunds.
This is worrying. Belgium isn't normally considered among the vulnerable euro-zone countries. Any sustained pressure on Belgian bonds or CDS would be a sign that the market is starting to bet on a break-up of the euro.
Le debolezze del Belgio (oltre al debito le tensioni politiche legate alla divisione tra fiamminghi e valloni) non sembrano tali però da giustificare questo aumento di attenzione, specialmente visto che dal 1993 al 2007 il Belgio aveva ridotto il debito pubblico dal 134% del GDP all'84% e che attualmente la crescita economica sembra essere robusta, accompagnata da un avanzo del conto delle partite correnti. Osserva giustamente Barley:
But precisely because Belgium has good fundamental strengths on its side, its stature in the market bears close monitoring. If euro-zone leaders were in any doubt they risk losing control of the situation, Belgian bonds and CDS should remind them.
Sul debito del Belgio e sulla sua sostenibilità potete leggere anche questa analisi pubblicata sul Wall Street Journal di oggi.
Nel frattempo, per allentare la tensione, pur restando tutto sommato in tema, vi consiglio l'eccezionale incontro di calcio Germania-Grecia ancora una volta cortesia dei Monty Phyton...Vi faccio notare che l'arbitro è il Sig. Confucius...A buon intenditore...
lunedì 29 novembre 2010
domenica 28 novembre 2010
Taleb, i modelli e il letto di Procuste
Oggi vi propongo un video di Nassim Taleb sui limiti dell'approccio probabilistico in economia e finanza e più in generale sul problema della decisione in condizione di incertezza. Come sempre è un polemista divertente e in questa conversazione con l'Economist se la prende con gli eccessi del data-mining ("the more statisticians you put on a job the more false results you get...the spurious relationshisps rise to the surface") e in generale con la presunzione di poter prevedere il mercato a proprio vantaggio ("It's very hard just by skills to become a trillionaire or a billionaire...you need skills plus a lot of luck...luck is more valuable, for very large deviations"). Secondo Taleb le società (e gli investitori) devono organizzarsi in modo da essere "immune to forecast errors". Proprio per questo è importante non dimenticare che ci sono anche sistemi (e strategie di investimento) che invece di essere fragili sono anti-fragili, "systems that benefit from shocks". Ma il vero colpo di genio polemico è verso la fine, quando paragona un certo modo di usare i modelli in economia e finanza al letto di Procuste. Un uso che, combinato con l'eccesso di leva finanziaria, ha condotto il sistema alla crisi del 2008.
Etichette:
crisi finanziaria,
Quants,
Taleb
sabato 27 novembre 2010
Aggiornamento al 26 novembre 2010.
Una crisi dopo l'altra siamo arrivati alla fine di questa settimana iniziata con le preoccupazioni per l'Irlanda, conclusasi con il declassamento a "debito spazzatura" (junk bond) delle obbligazioni di AIB (Allied Irish Bank) e resa ancora più angosciosa dai bombardamenti della Corea del Nord in direzione Corea del Sud
(-0,4%). Tra gli asset seguiti settimanalmente da Alfa o Beta? quello più colpito è stato l'euro che ha perso il 2,8% sul dollaro. Anche i mercati azionari non hanno gradito le incertezze e i cannoneggiamenti: il mercato U.S.A. ha perso quasi l'uno percento se valutato in dollari, mentre valutato in euro ha guadagnato l'1,9%; non ha potuto invece contare sulle fluttuazioni del cambio per salvarsi l'indice Eurostoxx che ha chiuso la settimana perdendo il 2,7%. Si sono comportate meglio le obbligazioni governative europee con scadenza trentennale che avevano già scontato la settimana precedente il riaccendersi della crisi dell'eurozona.
L'incertezza e i venti di guerra hanno invece rinvigorito l'indice delle materie prime CRB che ha chiuso con un +0,8% se valorizzato in dollari e con un eccellente +3,6% se calcolato in euro. Lo scatto dell'indice CRB ha salvato la strategia top 2 che aveva in portafoglio anche l'euro e che ciononostante ha chiuso la settimana guadagando lo 0,4%. L'indice immobiliare ha guadagnato il 2,6% premiando la strategia top 3 che questa settimana ha segnato un progresso dell'1,1%.
In classifica il cambio euro/dollaro scende al quarto posto cedendo la prima piazza all'indice CRB. La strategia top 2 questa settimana investe in materie prime (CRB) e mercato immobiliare (Ftse EPRA/NAREIT Global), la top 3 a questi due asset aggiunge le azioni U.S.A. (S&P500).
In questo post ho descritto quali ETF negoziati a Milano replicano (in positivo o in negativo) gli indici che sono settimanalmente tracciati qui su Alfaobeta. Se volete fare delle analisi da soli, in questo post ho spiegato come procurarsi gratuitamente le serie storiche dei prezzi e dei NAV degli ETF mentre qui potete trovare qualche informazione sui costi di transazione nel mercato dei cambi.
Dall'inizio del 2010 il rendimento (valutato in euro) di un portafoglio che ogni settimana investe nei primi 2 asset (top2) della tabella è stato di quasi il 17%, se investito nei primi tre asset (top3) il rendimento scende a poco meno del 13%. Nell'intero 2009 le stessa strategie avevano reso rispettivamente il 12.2% e il 2.4%.
Nella figura è raffigurato l'andamento di un euro investito nelle due strategie dal 3 gennaio 2009 ad oggi.
Il rendimento annuale composto della strategia top2 è del 14.3%, con una volatilità del 12.4%, un massimo drawdown del 7.6% e un indice di Sharpe intorno a 1.
Il rendimento annuale composto della strategia top 3 è del 7.0%, con una volatilità del 12.3%, un massimo drawdown del 15.1% e un indice di Sharpe poco superiore a 0.5
La strategia che investe nei primi due asset a condizione che la tendenza di medio periodo sia positiva, e in contanti nel caso contrario, ha reso nell'intero 2009 il 13.9%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 il 9.1% con una volatilità del 10.3%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 28.6% (poco meno del rendimento del portafoglio top2 che ha reso il 29.5% nello stesso periodo) con un massimo drawdown del 14.8%.
E' bene ricordare che i rendimenti calcolati non tengono neppure conto dei costi di transazione e del prelievo fiscale. Mi preme comunque sottolineare che le analisi e le simulazioni descritte in questo blog sono da considerarsi sempre e comunque risultati teorici e relativi al passato. Chiunque decidesse di utilizzare le strategie descritte o qualsiasi altra informazione tratta da questo blog per decisioni di investimento se ne assume completamente la responsabilità.
Ecco l'aggiornamento al 26 novembre 2010.
Asset | valuta | tendenza | pendenza | tendenza | pendenza | valore | |
medio | medio | breve | breve | ||||
periodo | periodo | periodo | periodo | ||||
1. | CRB | USD | POS | NEU | POS | NEG | 301,13 |
2. | Ftse EPRA/NAREIT Global | USD | POS | NEU | NEG | NEG | 2037,25 |
3. | S&P500 | USD | POS | NEU | POS | NEG | 1189,40 |
4. | Eur/USD | N/A | POS | POS | NEG | NEG | 1,3281 |
5. | EuroStoxx | EUR | POS | NEU | NEG | NEG | 267,90 |
6. | Euro Government Bond 30yr | EUR | NEG | NEG | NEG | NEU | 191,39 |
Etichette:
asset allocation
giovedì 25 novembre 2010
California dreaming?
Il mercato dei CDS assegna alla California una probabilità di default a cinque anni appena inferiore a quella della Spagna. L'Italia se la cava molto meglio con uno spread che sembra risentire della crisi dell'eurozona in modo molto attenuato (si veda il grafico qui accanto, tratto dal sito dell'Economist).
Ho cercato inutilmente una foto che ritraesse insieme Tremonti e Schwarzenegger...e invece ne ho trovata una di che ritrae il governatore della California con Nichi Vendola! Chiedo aiuto ai lettori: se non trovate neppure voi una foto di Tremonti con Schwarzenegger mi sapete indicare dove posso trovare lo spread dei CDS sul debito della regione Puglia?
Etichette:
CDS,
debito sovrano
L'Irlanda e i pregiudizi tedeschi. Il falllimento di Basilea 2
Martin Wolf commenta la crisi irlandese sul Financial Times: secondo Wolf "il disastro irlandese" offre un'opportunità all'Europa per capire come "il punto di vista tedesco sui problemi dell'eurozona sia sbagliato".
I tedeschi credono che le difficoltà principali della zona euro vengano dall'incontinenza fiscale e l'inflessibilità economica di alcuni suoi membri. Da questo punto di vista discende in modo naturale una cura fatta di "disciplina fiscale, riforme strutturali e ristrutturazione del debito".
Qui entra in scena il paradosso irlandese, vittima non di uno stato spendaccione e neppure di un mercato del lavoro troppo rigido, ma di una crisi finanziaria dovuta alla spregiudicatezza delle sue banche. Scrive Wolf:
Ireland has needed rescue, notwithstanding its astonishingly flexible economy; and an emphasis on restructuring of debt has, predictably, triggered a crisis. These realities should make Germany rethink. Will it? I doubt it.
At best, reliance on fiscal disciplines and sovereign debt restructuring is sure to generate massively pro-cyclical policy. At worst, it will generate serial depression and default among member countries. Moreover, this is also a global problem: the emphasis on deflationary adjustment in weaker countries risks turning the eurozone as a whole into a gigantic Germany, dependent on importing demand from the rest of the world.
Wolf è solitamente molto misurato nei suoi commenti ma questa volta mi pare che abbia proprio perso la pazienza: ecco come conclude il suo editoriale
the Irish case also shows that the German view of how the eurozone should work is mistaken: fiscal sloppiness is not the main problem and fiscal retrenchment and debt restructuring are not the sole solutions. One cannot learn from history if one does not understand it.
A proposito della crisi irlandese, e del ruolo che le banche hanno in questa, si può osservare come ancora una volta siano ben visibili i limiti della regolamentazione delle banche e in particolare dell'accordo di Basilea. Per non parlare degli stress test compiuti qualche mese fa che dovevano rassicurare i mercati sulla solvibilità delle banche europee e che le banche irlandesi superarono a pieni voti. Secondo Simon Nixon che scrive sul Wall Street Journal
In July, Irish banks passed European stress tests. Four months later, they have brought the country to its knees.
Bank of Ireland claims a core Tier 1 ratio of about 8%, yet the market refuses to lend to it. Greek, Portuguese and some Spanish banks have similarly found themselves shut out of private-sector funding markets. This investor skepticism highlights a major weakness of the Basel capital rules that European banks operate under.
Investors fear banks' reported capital ratios may not fully reflect the risks on their balance sheets. Core Tier 1 capital ratios are calculated as a proportion of risk-weighted assets. But while the Basel Committee on Banking Supervision has made progress improving the quality and quantity of capital, the Basel 2 and 3 rules allow banks and national regulators discretion in calculating risk-weighted assets. Where banks have sufficient historical data, Basel lets them use their own models to calculate risk weightings.
This has some logic. A Norwegian mortgage is likely not as risky as a Spanish one, so it shouldn't require the same capital to back it. But the approach creates wide variations. At Banco Santander, risk-weighted assets amount to 48% of the total balance sheet, compared with 24% at Barclays and 14% at Deutsche Bank. The three have core Tier 1 ratios of 8.5%, 10% and 7.6%, respectively. On average, Santander is holding capital equivalent to 2.99% of each exposure, versus an average 2.2% at its major European peers.
L'accordo di Basilea non sembra in grado di consentire una migliore armonizzazione tra la valutazione dei rischi basata sui modelli storici e sul risk-weighting del capitale e quella che si può cercare di dedurre dalla lettura dei bilanci. La distanza tra questi due approcci può essere considerevole, ma l'analisi dei flussi di cassa
bancari può rivelarsi utile e rivelare debolezze che altrimenti non sarebbe facile individuare. Chi è interessato ad approfondire questa tematica può dare un'occhiata all'articolo di Klumpes, Welch e Reibel che trovate qui.
I tedeschi credono che le difficoltà principali della zona euro vengano dall'incontinenza fiscale e l'inflessibilità economica di alcuni suoi membri. Da questo punto di vista discende in modo naturale una cura fatta di "disciplina fiscale, riforme strutturali e ristrutturazione del debito".
Qui entra in scena il paradosso irlandese, vittima non di uno stato spendaccione e neppure di un mercato del lavoro troppo rigido, ma di una crisi finanziaria dovuta alla spregiudicatezza delle sue banche. Scrive Wolf:
Ireland has needed rescue, notwithstanding its astonishingly flexible economy; and an emphasis on restructuring of debt has, predictably, triggered a crisis. These realities should make Germany rethink. Will it? I doubt it.
Ireland is nothing like Greece. Back in 2007, Ireland’s net public debt was just 12 per cent of gross domestic product. This compares with 50 per cent in Germany and 80 per cent in Greece. Spain, too, had net public debt in 2007 at just 27 per cent of GDP. If the fiscal rules had been applied as ruthlessly as German policymakers say they now want (though their predecessors resisted their application to themselves in the early 2000s), they would have affected France and Germany more than twice as often as Ireland or Spain between inception of the eurozone and the current wave of crises.
It was not the public but the private sector that went haywire in Ireland and in Spain.
Wolf prosegue poi il suo articolo osservando come a dispetto delle scelte dolorose di bilancio già compiute dal governo irlandese, la crisi sia precipitata come conseguenza dell'accordo franco-tedesco del 18 ottobre sull'introduzione di meccanismi per la ristrutturazione del debito dei paesi della zona euro, scatenando le vendite delle obbligazioni governative di Grecia, Irlanda e Portogallo. Secondo Wolf è difficile credere che la zona euro possa superare le difficoltà adottando la politica che la Germania vorrebbe imporre e che continuano a ignorare il problema di stimolare la domanda interna:
It was not the public but the private sector that went haywire in Ireland and in Spain.
Wolf prosegue poi il suo articolo osservando come a dispetto delle scelte dolorose di bilancio già compiute dal governo irlandese, la crisi sia precipitata come conseguenza dell'accordo franco-tedesco del 18 ottobre sull'introduzione di meccanismi per la ristrutturazione del debito dei paesi della zona euro, scatenando le vendite delle obbligazioni governative di Grecia, Irlanda e Portogallo. Secondo Wolf è difficile credere che la zona euro possa superare le difficoltà adottando la politica che la Germania vorrebbe imporre e che continuano a ignorare il problema di stimolare la domanda interna:
At best, reliance on fiscal disciplines and sovereign debt restructuring is sure to generate massively pro-cyclical policy. At worst, it will generate serial depression and default among member countries. Moreover, this is also a global problem: the emphasis on deflationary adjustment in weaker countries risks turning the eurozone as a whole into a gigantic Germany, dependent on importing demand from the rest of the world.
Wolf è solitamente molto misurato nei suoi commenti ma questa volta mi pare che abbia proprio perso la pazienza: ecco come conclude il suo editoriale
the Irish case also shows that the German view of how the eurozone should work is mistaken: fiscal sloppiness is not the main problem and fiscal retrenchment and debt restructuring are not the sole solutions. One cannot learn from history if one does not understand it.
A proposito della crisi irlandese, e del ruolo che le banche hanno in questa, si può osservare come ancora una volta siano ben visibili i limiti della regolamentazione delle banche e in particolare dell'accordo di Basilea. Per non parlare degli stress test compiuti qualche mese fa che dovevano rassicurare i mercati sulla solvibilità delle banche europee e che le banche irlandesi superarono a pieni voti. Secondo Simon Nixon che scrive sul Wall Street Journal
In July, Irish banks passed European stress tests. Four months later, they have brought the country to its knees.
Investors fear banks' reported capital ratios may not fully reflect the risks on their balance sheets. Core Tier 1 capital ratios are calculated as a proportion of risk-weighted assets. But while the Basel Committee on Banking Supervision has made progress improving the quality and quantity of capital, the Basel 2 and 3 rules allow banks and national regulators discretion in calculating risk-weighted assets. Where banks have sufficient historical data, Basel lets them use their own models to calculate risk weightings.
This has some logic. A Norwegian mortgage is likely not as risky as a Spanish one, so it shouldn't require the same capital to back it. But the approach creates wide variations. At Banco Santander, risk-weighted assets amount to 48% of the total balance sheet, compared with 24% at Barclays and 14% at Deutsche Bank. The three have core Tier 1 ratios of 8.5%, 10% and 7.6%, respectively. On average, Santander is holding capital equivalent to 2.99% of each exposure, versus an average 2.2% at its major European peers.
L'accordo di Basilea non sembra in grado di consentire una migliore armonizzazione tra la valutazione dei rischi basata sui modelli storici e sul risk-weighting del capitale e quella che si può cercare di dedurre dalla lettura dei bilanci. La distanza tra questi due approcci può essere considerevole, ma l'analisi dei flussi di cassa
bancari può rivelarsi utile e rivelare debolezze che altrimenti non sarebbe facile individuare. Chi è interessato ad approfondire questa tematica può dare un'occhiata all'articolo di Klumpes, Welch e Reibel che trovate qui.
Etichette:
banche,
Basilea 3,
crisi finanziaria e riforme,
stress tests
mercoledì 24 novembre 2010
Quanto vale un bit di informazione dal futuro? Il fascino intramontabile del market timing
E' divertente ripetere l'esperimento che Robert Merton pare fosse solito proporre ai suoi studenti al MIT e che descrive nell'articolo On Market Timing and Investment Performance I. An Equilibrium Theory of Value for Market Forecasts che potete scaricare a questo link. Immaginate di controllare il vostro portafoglio una volta al mese e di poter disporre di un oracolo che vi informa se i rendimenti azionari nel mese successivo saranno positivi oppure no. Un bit. Un solo bit di informazione che viaggia nel tempo e che vi informa in anticipo su cosa farà la borsa nel prossimo mese. A questo punto decidete di investire nell'indice S&P500 se il rendimento dell'indice sarà positivo e in obbligazioni del governo U.S.A. a breve termine (per esempio i T-Bill a 3 mesi) se i rendimenti azionari saranno negativi. Felici e contenti abbandonate il portafoglio al suo destino e rivalutate la situazione dopo un mese. Ecco come sarebbero andate le cose tra il 1960 e oggi:
Poter ricevere una volta al mese un solo bit dal futuro vi permette di moltiplicare il vostro capitale quasi un milione di volte in poco più di cinquanta anni, con un rendimento annualizzato composto del 28.9%. Merton era giunto alla stessa conclusione esaminando le serie temporali di azioni e obbligazioni dal 1927 al 1978, ottenendo un rendimento annualizzato del 34.6%.
Capite perchè agli studenti continuo a parlare del polpo Paul con la dovuta riverenza?
Poter ricevere una volta al mese un solo bit dal futuro vi permette di moltiplicare il vostro capitale quasi un milione di volte in poco più di cinquanta anni, con un rendimento annualizzato composto del 28.9%. Merton era giunto alla stessa conclusione esaminando le serie temporali di azioni e obbligazioni dal 1927 al 1978, ottenendo un rendimento annualizzato del 34.6%.
Capite perchè agli studenti continuo a parlare del polpo Paul con la dovuta riverenza?
Etichette:
asset allocation,
market timing
domenica 21 novembre 2010
La Spagna sarà la Lehman Brothers dell'Europa? E l'Irlanda? Aggiornamento al 19 novembre 2010
E' domenica mattina, tutta la famiglia dorme ancora, ti svegli e mentre sorseggi il caffè hai la pessima idea di metterti a guardare questo video del Wall Street Journal che dopo 13'45" suggerisce uno scenario nel quale la Spagna diventa la Lehman Brothers dell'Europa....Brrrr....
Sul suo sito il WSJ offre una serie di approfondimenti sui paesi europei più colpiti dalla crisi finanziaria (Islanda, Irlanda, Grecia) oppure nel mirino dei mercati (Portogallo, Spagna...Italia...) oppure che con le loro decisioni influenzano pesantemente l'atteggiamento dei mercati nei confronti del debito sovrano europeo (Germania).
Ma non bisogna esagerare con le preoccupazioni: noi siamo italiani e la probabilità di un default del debito sovrano italiano calcolata dalle valutazioni dei CDS e su un orizzonte temporale di cinque anni sembra essere ancora abbastanza contenuta, inferiore al 15% anche se in rialzo da qualche settimana a questa parte...
Chi invece sta scommettendo sull'Irlanda è bene che sappia quello che fa visto che l'aspettativa di un default è invece stimata intorno al 40%. E' una probabilità indotta dai prezzi dei CDS scambiati sul mercato, e i mercati non sono sempre efficienti, dunque potrebbero essere notevolmente sovra (o sotto...) stimate...ma almeno essere consapevoli dei rischi che si prendono. Tratta dallo stesso articolo di Paolo Manasse su La Voce dal quale ho tratto la figura riprodotta sopra, ecco una tabellina del debito del settore privato e di quello pubblico di alcuni paesi europei: il dato su cui riflettere e del quale si parla un po' meno è che il debito del settore privato irlandese per il 2009 è all'888% del PIL...
A dispetto di tutte le preoccupazioni la settimana appena trascorso non si è chiusa troppo negativamente per gli asset seguiti da Alfa o Beta?
Il mercato azionario U.S.A. ha chiuso praticamente invariato mentre quello europeo ha segnato un progresso pari allo 0.9%. Stabile anche il cambio euro/dollaro che ha registrato un leggero rafforzamento del dollaro (+0.2%). Le incertezze relative alla crisi irlandese e più in generale al debito sovrano dei paesi dell'area euro hanno continuato a farsi sentire sull'indice delle obbligazioni governative europee con scadenza trentennale (-2.2%).
In calo anche l'indice delle materie prime CRB che ha chiuso con un -1.3% se valorizzato in euro e ancor più l'indice immobiliare che ha perso oltre il 2.6%. Il ribasso dell'indice CRB ha penalizzato la strategia top2 che ha chiuso la settimana perdendo lo 0.8% mentre la strategia top 3 che comprende anche l'indice immobiliare ha perso l'1.4%.
Sul suo sito il WSJ offre una serie di approfondimenti sui paesi europei più colpiti dalla crisi finanziaria (Islanda, Irlanda, Grecia) oppure nel mirino dei mercati (Portogallo, Spagna...Italia...) oppure che con le loro decisioni influenzano pesantemente l'atteggiamento dei mercati nei confronti del debito sovrano europeo (Germania).
Ma non bisogna esagerare con le preoccupazioni: noi siamo italiani e la probabilità di un default del debito sovrano italiano calcolata dalle valutazioni dei CDS e su un orizzonte temporale di cinque anni sembra essere ancora abbastanza contenuta, inferiore al 15% anche se in rialzo da qualche settimana a questa parte...
Chi invece sta scommettendo sull'Irlanda è bene che sappia quello che fa visto che l'aspettativa di un default è invece stimata intorno al 40%. E' una probabilità indotta dai prezzi dei CDS scambiati sul mercato, e i mercati non sono sempre efficienti, dunque potrebbero essere notevolmente sovra (o sotto...) stimate...ma almeno essere consapevoli dei rischi che si prendono. Tratta dallo stesso articolo di Paolo Manasse su La Voce dal quale ho tratto la figura riprodotta sopra, ecco una tabellina del debito del settore privato e di quello pubblico di alcuni paesi europei: il dato su cui riflettere e del quale si parla un po' meno è che il debito del settore privato irlandese per il 2009 è all'888% del PIL...
A dispetto di tutte le preoccupazioni la settimana appena trascorso non si è chiusa troppo negativamente per gli asset seguiti da Alfa o Beta?
Il mercato azionario U.S.A. ha chiuso praticamente invariato mentre quello europeo ha segnato un progresso pari allo 0.9%. Stabile anche il cambio euro/dollaro che ha registrato un leggero rafforzamento del dollaro (+0.2%). Le incertezze relative alla crisi irlandese e più in generale al debito sovrano dei paesi dell'area euro hanno continuato a farsi sentire sull'indice delle obbligazioni governative europee con scadenza trentennale (-2.2%).
In calo anche l'indice delle materie prime CRB che ha chiuso con un -1.3% se valorizzato in euro e ancor più l'indice immobiliare che ha perso oltre il 2.6%. Il ribasso dell'indice CRB ha penalizzato la strategia top2 che ha chiuso la settimana perdendo lo 0.8% mentre la strategia top 3 che comprende anche l'indice immobiliare ha perso l'1.4%.
In questo post ho descritto quali ETF negoziati a Milano replicano (in positivo o in negativo) gli indici che sono settimanalmente tracciati qui su Alfaobeta. Se volete fare delle analisi da soli, in questo post ho spiegato come procurarsi gratuitamente le serie storiche dei prezzi e dei NAV degli ETF mentre qui potete trovare qualche informazione sui costi di transazione nel mercato dei cambi.
Dall'inizio del 2010 il rendimento (valutato in euro) di un portafoglio ribilanciato settimanalmente e investito nei primi 2 asset (top2) della tabella è stato di circa il 16.0%, se investito nei primi tre asset (top3) il rendimento scende al 11.2%. Nell'intero 2009 le stessa strategie avevano reso rispettivamente il 12.2% e il 2.4%.
Nella figura è raffigurato l'andamento di un euro investito nelle due strategie dal 3 gennaio 2009 ad oggi.
Il rendimento annuale composto della strategia top2 è del 14.2%, con una volatilità del 12.4%, un massimo drawdown del 7.6% e un indice di Sharpe intorno a 1.
Il rendimento annuale composto della strategia top 3 è del 6.4%, con una volatilità del 12.3%, un massimo drawdown del 15.1% e un indice di Sharpe poco inferiore a 0.5
La strategia che investe nei primi due asset a condizione che la tendenza di medio periodo sia positiva, e in contanti nel caso contrario, ha reso nell'intero 2009 il 13.9%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 l'8.9% con una volatilità del 10.3%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 28.3% (lo stesso rendimento del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 l'8.9% con una volatilità del 10.3%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 28.3% (lo stesso rendimento del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
E' bene ricordare che i rendimenti calcolati non tengono neppure conto dei costi di transazione e del prelievo fiscale. Mi preme comunque sottolineare che le analisi e le simulazioni descritte in questo blog sono da considerarsi sempre e comunque risultati teorici e relativi al passato. Chiunque decidesse di utilizzare le strategie descritte o qualsiasi altra informazione tratta da questo blog per decisioni di investimento se ne assume completamente la responsabilità.
Ecco l'aggiornamento al 19 novembre 2010.
Asset | valuta | tendenza | pendenza | tendenza | pendenza | valore | |
medio | medio | breve | breve | ||||
periodo | periodo | periodo | periodo | ||||
1. | Eur/USD | N/A | POS | NEG | NEG | NEG | 1,3662 |
2. | CRB | USD | POS | NEU | POS | NEU | 298,89 |
3. | Ftse EPRA/NAREIT Global | USD | POS | NEU | NEG | NEG | 2042,92 |
4. | S&P500 | USD | POS | NEU | POS | NEU | 1199,73 |
5. | EuroStoxx | EUR | POS | POS | POS | NEG | 275,37 |
6. | Euro Government Bond 30yr | EUR | POS | NEG | NEG | NEG | 192,06 |
Etichette:
asset allocation
giovedì 18 novembre 2010
Non è l'America a manipolare il cambio: le conseguenze di un'identità contabile.
Leggo spesso il commento di Martin Wolf sul Financial Times. Ieri l'altro ha dedicato un lungo articolo alla querelle sino-americana sui cambi. Secondo Wolf l'insistenza dei paesi con la bilancia commerciale in attivo (Cina, Germania, ecc.) nel sostenere la necessità di politiche fiscali deflazionistiche nei paesi con la bilancia commerciale in passivo (come gli Stati Uniti ma non solo loro...) è una follia e "le conseguenze di questa follia sono ormai evidenti in quanto sta accadando nell'eurozona". La tesi di Wolf si appoggia su argomenti difficili da confutare molto simili alle considerazioni svolte su Alfa o Beta? già qualche tempo fa: il debito di imprese, famiglie e governo sommato al saldo della bilancia commerciale devono necessariamente compensarsi. E' un'identità contabile, non un teorema che si basa su ipotesi che possono essere o non essere verificate. Scrive giustamente Wolf:
The big economic point, however, is that the world needs to manage a post-crisis adjustment, in which capital flows turn around. In essence, this is a real, not a monetary, process. The rich countries cannot productively absorb the flow of capital that used to flow from poor ones. Indeed, they never could. What could not go on now has to change.
To understand why this is urgent, it helps to look at financial balances within deficit economies. In the case of the US, for example, they tell a compelling story. The financial balances (gap between income and spending) of the household, corporate, government and foreign sectors sum to zero. What is revealing is how they do so.
Se si dà un'occhiata all'evoluzione nel tempo dei quattro termini dell'identità contabile si scopre come fino alla crisi finanziaria il peso del deficit estero U.S.A. fosse stato sopportato in modo condiviso dalle famiglie e dal governo. La crisi ha tuttavia costretto famiglie e imprese a ridurre la spesa con una conseguenza inevitabile:
With foreigners, households and the corporate sector running surpluses, the government ended up in huge deficit (see chart). In my view, the underlying driver was post-crisis cutbacks by the private sector. The fiscal deficit was far more a result of these shifts than a cause.
The crucial point is that the US can reduce its huge fiscal deficits, without pushing the country into a deep slump, if and only if other sectors expand spending, relative to incomes. This is unlikely to happen in the US private sector, to a sufficient extent, though some expansion of investment is plausible. A good part of the needed adjustment must come from expansion of foreign spending relative to income – in other words, a reduction in the structural current account deficit.
This analysis lies behind any discussion of global adjustment.
Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale contenute in questo rapporto descrivono uno scenario futuro chiaramente insostenibile, nel quale i deficit del conto delle partite correnti dei paesi nei quali questo deficit è già alto continua ad aumentare fino a tornare a livelli pre-crisi, mentre i surplus degli altri paesi si stabilizza (si veda la seconda delle figure qui sopra). Questo è impossibile e certamente insostenibile, rischia di alimentare delle guerre valutarie senza confini che penalizzerebbero in primis la crescita mondiale, danneggiando anche la Cina.
Wolf però non è pessimista e fa osservare come nella dichiarazione dei leaders dei paesi del G-20 sia scritto che “persistently large imbalances, assessed against indicative guidelines to be agreed by our finance ministers and central bank governors, warrant an assessment of their nature and the root causes of impediments to adjustment ... These indicative guidelines composed of a range of indicators would serve as a mechanism to facilitate timely identification of large imbalances that require preventive and corrective actions.” Spero proprio che abbia ragione.
The big economic point, however, is that the world needs to manage a post-crisis adjustment, in which capital flows turn around. In essence, this is a real, not a monetary, process. The rich countries cannot productively absorb the flow of capital that used to flow from poor ones. Indeed, they never could. What could not go on now has to change.
To understand why this is urgent, it helps to look at financial balances within deficit economies. In the case of the US, for example, they tell a compelling story. The financial balances (gap between income and spending) of the household, corporate, government and foreign sectors sum to zero. What is revealing is how they do so.
Se si dà un'occhiata all'evoluzione nel tempo dei quattro termini dell'identità contabile si scopre come fino alla crisi finanziaria il peso del deficit estero U.S.A. fosse stato sopportato in modo condiviso dalle famiglie e dal governo. La crisi ha tuttavia costretto famiglie e imprese a ridurre la spesa con una conseguenza inevitabile:
With foreigners, households and the corporate sector running surpluses, the government ended up in huge deficit (see chart). In my view, the underlying driver was post-crisis cutbacks by the private sector. The fiscal deficit was far more a result of these shifts than a cause.
The crucial point is that the US can reduce its huge fiscal deficits, without pushing the country into a deep slump, if and only if other sectors expand spending, relative to incomes. This is unlikely to happen in the US private sector, to a sufficient extent, though some expansion of investment is plausible. A good part of the needed adjustment must come from expansion of foreign spending relative to income – in other words, a reduction in the structural current account deficit.
This analysis lies behind any discussion of global adjustment.
Le previsioni del Fondo Monetario Internazionale contenute in questo rapporto descrivono uno scenario futuro chiaramente insostenibile, nel quale i deficit del conto delle partite correnti dei paesi nei quali questo deficit è già alto continua ad aumentare fino a tornare a livelli pre-crisi, mentre i surplus degli altri paesi si stabilizza (si veda la seconda delle figure qui sopra). Questo è impossibile e certamente insostenibile, rischia di alimentare delle guerre valutarie senza confini che penalizzerebbero in primis la crescita mondiale, danneggiando anche la Cina.
Wolf però non è pessimista e fa osservare come nella dichiarazione dei leaders dei paesi del G-20 sia scritto che “persistently large imbalances, assessed against indicative guidelines to be agreed by our finance ministers and central bank governors, warrant an assessment of their nature and the root causes of impediments to adjustment ... These indicative guidelines composed of a range of indicators would serve as a mechanism to facilitate timely identification of large imbalances that require preventive and corrective actions.” Spero proprio che abbia ragione.
Etichette:
Cina,
dollaro,
economia USA,
euro,
yuan
mercoledì 17 novembre 2010
Investire con il valore di libro tangibile
Graham and Doddsville è una pubblicazione trimestrale a cura degli studenti della Columbia Business School dedicata la mondo degli investimenti e all'approccio value alla costruzione di un portafoglio. Nell'ultimo numero, che vi riproduco qui sotto grazie a www.scribd.com, potete leggere una lunga intervista a Donald G. Smith, il responsabile degli investimenti di una soc ietà di gestione con un portafoglio di oltre 3 miliardi di dollari. Nei trenta anni in cui si è occupato di gestione azionaria Donald Smith è riuscito a produrre un rendimento annuo composto del 15.3%. Anche negli ultimi dieci anni, a dispetto di un rendimento annuo composto negativo per l'indice Standard and Poor's 500, il portafoglio gestito da Smith ha reso il 12.1% all'anno. Come molti investitori value Smith preferisce analizzare i titoli azionari guardando al book value (valore di libro o patrimonio netto) di una società. Il book value rappresenta il valore di una società come viene riportato nei libri contabili e si ottiene sottraendo agli asset totali le passività, gli asset intangibili e il valore delle azioni privilegiate. Dividendo il risultato per il numero di azioni in circolazione si ottiene un valore che può essere confrontato con il prezzo di mercato dell'azione:
(Tangible) Book Value per Share =
(Total assets – Intangible assets – Liabilities – Preferred Stock value) ÷
Common Shares outstanding
Almeno in teoria il book value è indicativo di quello che può essere considerato il valore di una società. Per ottenere una stima di valore ancora più prudente si possono escludere tutti gli asset intangibili (proprietà intellettuale, valore attribuito a un brand sia come risultato delle operazioni della società sia per effetto di acquisizioni, più in generale quanto viene indicato nei bilanci come goodwill, ecc.), come abbiamo fatto nella formula sopra, nel qual caso spesso si usa la terminologia tangible book value per indicare il valore di libro calcolato escludendo tutti gli asset "immateriali".
Se si analizzano i rendimenti azionari nel periodo 1951-2009 costruendo 10 portafogli composti da titoli con il rapporto prezzo/(valore di libro tangibile) ordinato in modo crescente e, per le azioni in uno stesso portafoglio, appartenenti allo stesso decile, si scopre come il portafoglio corrispondente al decile più basso abbia prodotto un rendimento annuale composto superiore a quello dell'indice S&P500 di quasi il 5% (si veda la figura qui sotto): una bella illustrazione del value effect, la storica sovraperformance dei titoli value su quelli growth.
Graham and Doddsville Newsletter Fall 2010
(Tangible) Book Value per Share =
(Total assets – Intangible assets – Liabilities – Preferred Stock value) ÷
Common Shares outstanding
Almeno in teoria il book value è indicativo di quello che può essere considerato il valore di una società. Per ottenere una stima di valore ancora più prudente si possono escludere tutti gli asset intangibili (proprietà intellettuale, valore attribuito a un brand sia come risultato delle operazioni della società sia per effetto di acquisizioni, più in generale quanto viene indicato nei bilanci come goodwill, ecc.), come abbiamo fatto nella formula sopra, nel qual caso spesso si usa la terminologia tangible book value per indicare il valore di libro calcolato escludendo tutti gli asset "immateriali".
Se si analizzano i rendimenti azionari nel periodo 1951-2009 costruendo 10 portafogli composti da titoli con il rapporto prezzo/(valore di libro tangibile) ordinato in modo crescente e, per le azioni in uno stesso portafoglio, appartenenti allo stesso decile, si scopre come il portafoglio corrispondente al decile più basso abbia prodotto un rendimento annuale composto superiore a quello dell'indice S&P500 di quasi il 5% (si veda la figura qui sotto): una bella illustrazione del value effect, la storica sovraperformance dei titoli value su quelli growth.
Graham and Doddsville Newsletter Fall 2010
Etichette:
selezione quantitativa,
value investing,
Valutazione
domenica 14 novembre 2010
Aggiornamento al 12 novembre 2010
Una brutta settimana per i mercati azionari (e non solo per loro) con quasi tutti gli indici che hanno cancellato
i progressi compiuti a inizio mese. Solo il dollaro ha benificiato del ritorno della paura guadagnando terreno
su tutte le altre valute e persino sull'oro, che è crollato dopo aver segnato un massimo infrasettimanale oltre quota 1400 dollari l'oncia.
L'euro ha chiuso la settimana in notevole ribasso sul dollaro ( -3.2%) ritornando sui livelli di fine settembre: la crisi dell'Irlanda e i rinnovati dubbi sull'eurozona hanno trascinato al ribasso anche l'indice delle obbligazioni governative europee con scadenza trentennale (-1.9%) e l'indice Eurostoxx (-1.5%).
Fortemente negativi anche gli indici di materie prime, l'indice S&P500 e l'indice immobiliare U.S.A.
se valutati in dollari. Grazie al rafforzamento del dollaro il quadro è molto meno drammatico se invece si valutano questi indici in euro: l'indice CRB e l'indice immobiliare sono praticamente invariati (variazioni percentuali in valore assoluto inferiori allo 0.1%) mentre l'indice S&P500 continua ad avantaggiarsi dell'anticorrelazione con il dollaro così il suo controvalore in euro questa settimana è aumentato di circa l'1%.
Il forte ribasso dell'euro e delle materie prime ha penalizzato la strategia top 2 che ha chiuso la settimana con un -1.6% mentre ha fatto leggermente meglio (-1.1%) la strategia top 3 che continua a investire anche nell'indice immobiliare.
i progressi compiuti a inizio mese. Solo il dollaro ha benificiato del ritorno della paura guadagnando terreno
su tutte le altre valute e persino sull'oro, che è crollato dopo aver segnato un massimo infrasettimanale oltre quota 1400 dollari l'oncia.
L'euro ha chiuso la settimana in notevole ribasso sul dollaro ( -3.2%) ritornando sui livelli di fine settembre: la crisi dell'Irlanda e i rinnovati dubbi sull'eurozona hanno trascinato al ribasso anche l'indice delle obbligazioni governative europee con scadenza trentennale (-1.9%) e l'indice Eurostoxx (-1.5%).
Fortemente negativi anche gli indici di materie prime, l'indice S&P500 e l'indice immobiliare U.S.A.
se valutati in dollari. Grazie al rafforzamento del dollaro il quadro è molto meno drammatico se invece si valutano questi indici in euro: l'indice CRB e l'indice immobiliare sono praticamente invariati (variazioni percentuali in valore assoluto inferiori allo 0.1%) mentre l'indice S&P500 continua ad avantaggiarsi dell'anticorrelazione con il dollaro così il suo controvalore in euro questa settimana è aumentato di circa l'1%.
Il forte ribasso dell'euro e delle materie prime ha penalizzato la strategia top 2 che ha chiuso la settimana con un -1.6% mentre ha fatto leggermente meglio (-1.1%) la strategia top 3 che continua a investire anche nell'indice immobiliare.
In questo post ho descritto quali ETF negoziati a Milano replicano (in positivo o in negativo) gli indici che sono settimanalmente tracciati qui su Alfaobeta. Se volete fare delle analisi da soli, in questo post ho spiegato come procurarsi gratuitamente le serie storiche dei prezzi e dei NAV degli ETF mentre qui potete trovare qualche informazione sui costi di transazione nel mercato dei cambi.
Dall'inizio del 2010 il rendimento (valutato in euro) di un portafoglio ribilanciato settimanalmente e investito nei primi 2 asset (top2) della tabella è stato di circa il 17.0%, se investito nei primi tre asset (top3) il rendimento scende al 12.8%. Nell'intero 2009 le stessa strategie avevano reso rispettivamente il 12.2% e il 2.4%.
Nella figura è raffigurato l'andamento di un euro investito nelle due strategie dal 3 gennaio 2009 ad oggi.
Il rendimento annuale composto della strategia top2 è del 14.9%, con una volatilità del 12.5%, un massimo drawdown del 7.6% e un indice di Sharpe intorno a 1.1.
Il rendimento annuale composto della strategia top 3 è del 7.3%, con una volatilità del 12.4%, un massimo drawdown del 15.1% e un indice di Sharpe intorno a 0.5
La strategia che investe nei primi due asset a condizione che la tendenza di medio periodo sia positiva, e in contanti nel caso contrario, ha reso nell'intero 2009 il 13.9%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 il 10.4% con una volatilità del 10.3%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 30.1% (contro il 29.4% del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 il 10.4% con una volatilità del 10.3%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 30.1% (contro il 29.4% del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
E' bene ricordare che i rendimenti calcolati non tengono neppure conto dei costi di transazione e del prelievo fiscale. Mi preme comunque sottolineare che le analisi e le simulazioni descritte in questo blog sono da considerarsi sempre e comunque risultati teorici e relativi al passato. Chiunque decidesse di utilizzare le strategie descritte o qualsiasi altra informazione tratta da questo blog per decisioni di investimento se ne assume completamente la responsabilità.
Ecco l'aggiornamento al 12 novembre 2010.
| |||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Etichette:
asset allocation
giovedì 11 novembre 2010
La nuova corsa all'oro...e dell'oro
Gli alchimisti sarebbero contenti e riprenderebbero la ricerca della pietra filosofale con ancora più tenace determinazione... Qualche giorno fa sul Financial Times il presidente della World Bank Robert Zoellick ha proposto un nuovo sistema internazionale di cambi valutari che impiega l'oro come riferimento sia per l'inflazione sia per le valute, conformemente all'atteggiamento presente degli operatori sui mercati. Una ciliegina che mancava sulla torta preparata dal nuovo round di quantitative easing e che l'oro non ha mancato di apprezze superando per la prima volta lunedi' scorso quota 1400 dollari. Anche se il record è solo sul valore nominale, cioè non tiene conto dell'inflazione (se si sconta il prezzo dell'oro utilizzando il CPI americano il record fu raggiunto 30 anni fa quando l'oro raggiunse la quotazione stratosferica di 2387 dollari a valori attuali, si veda la figura qui sopra tratta da questo link), è indiscutibile come questa "reliquia del passato" sia tornata prepotentemente al centro del dibattito economico e della speculazione finanziaria come non capitava da molti anni. Se volete approfondire i temi della discussione potete iniziare dal dibattito ospitato dal New York Times. Tra quelli che festeggiano sicuramente i nuovi vertici raggiunti dall'oro c'è anche mio cuggino...
Etichette:
oro
mercoledì 10 novembre 2010
Da un mini crash a un altro in attesa di "the big one"?
Il New York Times dedica un articolo ai mini flash crash, il susseguirsi di inspiegabili crolli del 50% o più di titoli azionari U.S.A. che si consumano in pochi minuti. Ad esempio il 27 settembre scorso il titolo di una utility U.S.A. Progress Energy PGN, una società di una certa consistenza con una capitalizzazione di borsa di oltre 13 miliardi di dollari, subì un crollo di quasi il 90% in pochi secondi. La variazione improvvisa e apparentemente inspiegabile di prezzo di PGN è una replica in miniatura del crollo del 6 maggio scorso. Secondo il NYTimes
Since the Dow Jones industrial average fell about 700 points then largely recovered on May 6, setting the financial world on edge, similar flash crashes have occurred with alarming frequency in more than a dozen individual stocks.
Citigroup, Core Molding, the Washington Post Company — all have soared, plunged, and often both, in wild, seemingly inexplicable trading. An exchange-traded fund, a popular investment that is basically an index fund that trades like stocks, has also been given the flash treatment, although that was attributed to a software error.
To some analysts, these mini flash crashes are a sign that another big one is possible, if not probable. Others say these abrupt reversals are simply the way modern, lightning-quick markets work, and that investors had better get used to it.
Questo tipo di mini-crolli sta allarmando alcuni specialisti che temono il manifestarsi di una instabilità intrinseca nella dinamica ad alta frequenza dei mercati borsistici:
“It’s like seeing cracks in a dam,” said James J. Angel, professor at the McDonough School of Business at Georgetown University. “One day, I don’t know when, there will be another earthquake.”
Andrew W. Lo, director of the Laboratory for Financial Engineering at M.I.T., said: “I am worried about the potential instability that these technologies create in market dynamics. The U.S. equity markets have become the Wild, Wild West.”
Non sono solo gli accademici a essere preoccupati dalla struttura frammentaria della borsa americana, nella quale un titolo viene scambiato simultaneamente in oltre una dozzina di diversi mercati elettronici, e dal rischio di manipolazione da parte di traders che impiegano algoritmi ad alta frequenza con scambi azionari che avvengono su una scala temporale dell'ordine dei microsecondi.
“What we have today is a complete mess,” said Thomas Peterffy, chief executive of Interactive Brokers, one of the largest brokerage firms in the country. “Over the last 10 years, technology delivered great benefits, but in the last year or so, it is not so good. There is more room for the various games some people play.”
This month, a software update at the New York Stock Exchange’s electronic Arca exchange brought a nearly 10 percent plunge in an exchange-traded fund that tracks the Standard & Poor’s 500-stock index.
In all the mini flash crashes, trades that took place after the plunge were canceled.
Most of the mini crashes were blamed on computer malfunctions or human error. (...)
The authorities are contemplating other ways to make trading safer and are considering refining circuit breakers to stop erroneous trades from taking place.
A Securities and Exchange Commission official said the agency was closely watching the cases where individual stocks had set off circuit breakers, but had found that each case had “its own story.” The official added, “We are learning from them, and so far it is hard to extrapolate too much as to the general trends in the market.”
On Monday, the S.E.C. banned stub quotes, which were singled out for blame in the May 6 flash crash. These were place-holding price quotes, far from the market price, put up by market makers that are required to post quotes, but do not really want to buy or sell shares.
“While we continue to look at other potential obligations for market participants, this is an important step in our effort to improve the functioning of the U.S. markets and restore investor confidence following the events of May 6,” Mary L. Schapiro, the S.E.C. chairwoman, said in a statement.
Since the Dow Jones industrial average fell about 700 points then largely recovered on May 6, setting the financial world on edge, similar flash crashes have occurred with alarming frequency in more than a dozen individual stocks.
Citigroup, Core Molding, the Washington Post Company — all have soared, plunged, and often both, in wild, seemingly inexplicable trading. An exchange-traded fund, a popular investment that is basically an index fund that trades like stocks, has also been given the flash treatment, although that was attributed to a software error.
To some analysts, these mini flash crashes are a sign that another big one is possible, if not probable. Others say these abrupt reversals are simply the way modern, lightning-quick markets work, and that investors had better get used to it.
Questo tipo di mini-crolli sta allarmando alcuni specialisti che temono il manifestarsi di una instabilità intrinseca nella dinamica ad alta frequenza dei mercati borsistici:
“It’s like seeing cracks in a dam,” said James J. Angel, professor at the McDonough School of Business at Georgetown University. “One day, I don’t know when, there will be another earthquake.”
Andrew W. Lo, director of the Laboratory for Financial Engineering at M.I.T., said: “I am worried about the potential instability that these technologies create in market dynamics. The U.S. equity markets have become the Wild, Wild West.”
Non sono solo gli accademici a essere preoccupati dalla struttura frammentaria della borsa americana, nella quale un titolo viene scambiato simultaneamente in oltre una dozzina di diversi mercati elettronici, e dal rischio di manipolazione da parte di traders che impiegano algoritmi ad alta frequenza con scambi azionari che avvengono su una scala temporale dell'ordine dei microsecondi.
“What we have today is a complete mess,” said Thomas Peterffy, chief executive of Interactive Brokers, one of the largest brokerage firms in the country. “Over the last 10 years, technology delivered great benefits, but in the last year or so, it is not so good. There is more room for the various games some people play.”
This month, a software update at the New York Stock Exchange’s electronic Arca exchange brought a nearly 10 percent plunge in an exchange-traded fund that tracks the Standard & Poor’s 500-stock index.
In all the mini flash crashes, trades that took place after the plunge were canceled.
Most of the mini crashes were blamed on computer malfunctions or human error. (...)
The authorities are contemplating other ways to make trading safer and are considering refining circuit breakers to stop erroneous trades from taking place.
A Securities and Exchange Commission official said the agency was closely watching the cases where individual stocks had set off circuit breakers, but had found that each case had “its own story.” The official added, “We are learning from them, and so far it is hard to extrapolate too much as to the general trends in the market.”
On Monday, the S.E.C. banned stub quotes, which were singled out for blame in the May 6 flash crash. These were place-holding price quotes, far from the market price, put up by market makers that are required to post quotes, but do not really want to buy or sell shares.
“While we continue to look at other potential obligations for market participants, this is an important step in our effort to improve the functioning of the U.S. markets and restore investor confidence following the events of May 6,” Mary L. Schapiro, the S.E.C. chairwoman, said in a statement.
Etichette:
6 maggio 2010,
caos,
crash,
flash crash
domenica 7 novembre 2010
Aggiornamento al 5 novembre 2010
La notizia dei 600 miliardi di dollari che la Fed utilizzerà per acquistare obbligazioni governative U.S.A. in un secondo round di quantitative easing ha nuovamente affossato il dollaro e ha gettato benzina sul fuoco degli indici di materie prime e, più in generale, di tutti gli asset rischiosi. Così l'euro ha chiuso la settimana con un rialzo dell'1.8% sul dollaro, superato solo dalle materie prime (+2.4% valutate in euro) e dall'indice immobiliare (+2.2% in euro). L'eccellente performance dell'euro e delle materie prime ha dato slancio alla strategia top 2 che ha messo a segno un bel +2.1% spingendosi ai nuovi massimi dal gennaio 2009. Lo stesso rialzo (+2.1%) è stato messo a segno dalla strategia top 3 che investe anche nell'indice immobiliare.
La borsa U.S.A. ha festeggiato la notizia del QE2, i dati economici non troppo orribili e forse anche la vittoria dei repubblicani alle elezioni midterm, con un guadagno dell'1.7% se valutata in euro (+3.6% per l'indice S&P500) mentre l'entusiasmo ha solo parzialmente contagiato le borse europee con l'indice Eurostoxx che ha guadagnato lo 0.9%. Le obbligazioni governative dell'area euro con scadenze trentennali hanno recuperato la perdita della settimana precedente guadagnando lo 0.6%.
La borsa U.S.A. ha festeggiato la notizia del QE2, i dati economici non troppo orribili e forse anche la vittoria dei repubblicani alle elezioni midterm, con un guadagno dell'1.7% se valutata in euro (+3.6% per l'indice S&P500) mentre l'entusiasmo ha solo parzialmente contagiato le borse europee con l'indice Eurostoxx che ha guadagnato lo 0.9%. Le obbligazioni governative dell'area euro con scadenze trentennali hanno recuperato la perdita della settimana precedente guadagnando lo 0.6%.
In questo post ho descritto quali ETF negoziati a Milano replicano (in positivo o in negativo) gli indici che sono settimanalmente tracciati qui su Alfaobeta. Se volete fare delle analisi da soli, in questo post ho spiegato come procurarsi gratuitamente le serie storiche dei prezzi e dei NAV degli ETF mentre qui potete trovare qualche informazione sui costi di transazione nel mercato dei cambi.
Dall'inizio del 2010 il rendimento (valutato in euro) di un portafoglio ribilanciato settimanalmente e investito nei primi 2 asset (top2) della tabella è stato di circa il 18.5%, se investito nei primi tre asset (top3) il rendimento scende al 13.9%. Nell'intero 2009 le stessa strategie avevano reso rispettivamente il 12.2% e il 2.4%.
Nella figura è raffigurato l'andamento di un euro investito nelle due strategie dal 3 gennaio 2009 ad oggi.
Il rendimento annuale composto della strategia top2 è del 16.0%, con una volatilità del 12.5%, un massimo drawdown del 7.6% e un indice di Sharpe intorno a 1.2.
Il rendimento annuale composto della strategia top 3 è dell' 8.0%, con una volatilità del 12.3%, un massimo drawdown del 15.1% e un indice di Sharpe intorno a 0.6
La strategia che investe nei primi due asset a condizione che la tendenza di medio periodo sia positiva, e in contanti nel caso contrario, ha reso nell'intero 2009 il 13.9%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 il 10.6% con una volatilità del 10.4%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 29.9% (contro il 31.6% del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
La strategia che semplicemente investe in parti uguali in tutti e 6 gli asset seguiti settimanalmente da Alfaobeta ha reso nel 2010 il 10.6% con una volatilità del 10.4%. La stessa strategia dall'1 gennaio 2009 ad oggi ha reso il 29.9% (contro il 31.6% del portafoglio top2) con un massimo drawdown del 14.8%.
E' bene ricordare che i rendimenti calcolati non tengono neppure conto dei costi di transazione e del prelievo fiscale. Mi preme comunque sottolineare che le analisi e le simulazioni descritte in questo blog sono da considerarsi sempre e comunque risultati teorici e relativi al passato. Chiunque decidesse di utilizzare le strategie descritte o qualsiasi altra informazione tratta da questo blog per decisioni di investimento se ne assume completamente la responsabilità.
Ecco l'aggiornamento al 5 novembre 2010.
Asset | valuta | tendenza | pendenza | tendenza | pendenza | valore | |
medio | medio | breve | breve | ||||
periodo | periodo | periodo | periodo | ||||
1. | Eur/USD | N/A | POS | NEU | POS | NEU | 1,4146 |
2. | CRB | USD | POS | POS | POS | POS | 313,56 |
3. | Ftse EPRA/NAREIT Global | USD | POS | POS | POS | POS | 2174,54 |
4. | Euro Government Bond 30yr | EUR | POS | NEG | NEG | NEG | 200,30 |
5. | S&P500 | USD | POS | POS | POS | POS | 1225,85 |
6. | EuroStoxx | EUR | POS | POS | POS | POS | 276,93 |
Etichette:
asset allocation
giovedì 4 novembre 2010
Azioni per il lungo periodo? Nooo! Obbligazioni? Forse. Ma la speranza non muore mai...
Global Financial Data è una compagnia U.S.A. specializzata nella costruzione e distribuzione di lunghe serie storiche economiche e finanziarie (vendute a caro prezzo...): rendimenti azionari dal 1693, inflazione dal 1209, rendimenti obbligazionari dal 1520 e così via. Il grafico dell'indice S&P500 dal 1791 a oggi è davvero impressionante: per più di un secolo non è andato da nessuna parte, altro che azioni per il lungo periodo! Chi avesse investito nel 1791 dopo 100 anni si sarebbe ritrovato con rendimenti nominali negativi.
I rendimenti reali sarebbero stati solo un po' meno peggiori visto che l'indice dei prezzi al consumo U.S.A. tra il 1791 e il 1891 ha perso il 3%, secondo la serie storica gratuita del CPI messa a disposizione da www.measuringworth,com e che potete trovare qui.
Un altro grafico divertente tratto dal sito di Global Financial Data è quello dell'andamento del titolo azionario della Banca di Inghilterra dal 1694 al 1930: notate che la scala qui non è semilogaritmica bensì lineare, quindi in 236 anni il titolo ha messo a segno un rialzo del 350%. Niente di esaltante per un cassettista armato di pazienza plurisecolare come non se ne vedono più da tempo...
Ok, ok, le azioni non sono per il lungo periodo....ma le obbligazioni? Beh, in questo caso forse le cose vanno meglio, anche se c'è ancora da considerare il rischio politico: ecco l'andamento del prezzo dell'obbligazione Russa al 5% nominale dal 1821 al....1930....
E' impressionante vedere la diminuzione di prezzo (e dunque l'aumento dei tassi, cioè del risk premium) in corrispondenza del 1848 (vi ricordate qualcosa dai libri di storia delle superiori), della guerra di Crimea, la ripresa del ventennio 1877-1897 e quella successiva alla rivoluzione del 1905 fino al crollo del titolo con la rivoluzione bolscevica: curioso però che ancora nel 1926 il prezzo non fosse sceso a zero...la speranza, in questo caso leggi "speculazione", non muore mai!
I rendimenti reali sarebbero stati solo un po' meno peggiori visto che l'indice dei prezzi al consumo U.S.A. tra il 1791 e il 1891 ha perso il 3%, secondo la serie storica gratuita del CPI messa a disposizione da www.measuringworth,com e che potete trovare qui.
Un altro grafico divertente tratto dal sito di Global Financial Data è quello dell'andamento del titolo azionario della Banca di Inghilterra dal 1694 al 1930: notate che la scala qui non è semilogaritmica bensì lineare, quindi in 236 anni il titolo ha messo a segno un rialzo del 350%. Niente di esaltante per un cassettista armato di pazienza plurisecolare come non se ne vedono più da tempo...
Ok, ok, le azioni non sono per il lungo periodo....ma le obbligazioni? Beh, in questo caso forse le cose vanno meglio, anche se c'è ancora da considerare il rischio politico: ecco l'andamento del prezzo dell'obbligazione Russa al 5% nominale dal 1821 al....1930....
E' impressionante vedere la diminuzione di prezzo (e dunque l'aumento dei tassi, cioè del risk premium) in corrispondenza del 1848 (vi ricordate qualcosa dai libri di storia delle superiori), della guerra di Crimea, la ripresa del ventennio 1877-1897 e quella successiva alla rivoluzione del 1905 fino al crollo del titolo con la rivoluzione bolscevica: curioso però che ancora nel 1926 il prezzo non fosse sceso a zero...la speranza, in questo caso leggi "speculazione", non muore mai!
Etichette:
asset allocation,
mercato azionario USA,
serie storiche
mercoledì 3 novembre 2010
Il ciclo presidenziale e l'anno che verrà.
Il supplemento Plus del Sole 24 Ore di sabato scorso dedica un articolo al ciclo presidenziale, secondo il quale i listini azionari soffrono particolarmente il primo biennio di ogni presidenza U.S.A. mentre sono più generosi nel secondo biennio (particolarmente nel terzo anno, quello che precede le elezioni, proprio il 2011 nel caso della presidenza Obama).
Questo tipo di analisi è molto popolare negli Stati Uniti, anche grazie al popolarissimo Stock Trader Almanac, curato da e giunto ormai alla sua 44esima edizione annuale. Nell'introduzione dell'edizione 2010, scritta oltre un anno fa, si faceva riferimento al fatto che il 2010 è un Midterm election year,
tradizionalmente il secondo del ciclo quadriennale, con rendimenti migliori soltanto dell'anno post-elezioni. Secondo l'almanacco 2010, proprio sulla base dell'analisi del ciclo presidenziale, non si può escludere un rally che dai minimi del Midterm Year si spinga fino a raggiungere un picco l'anno successivo con un rialzo medio di poco inferiore del 50%, e comunque nel 90% dei casi superiore al 23%. Se come minimo per il 2010 si confermasse quello toccato nel luglio scorso (intorno a 9600 per il Dow Jones), il 2011 potrebbe dunque vedere un rialzo fino ad un massimo che nell'ipotesi più prudente si collocherebe a un livello poco superiore a quello attuale, mentre se confermasse le medie storiche potrebbe spingere l'indice Dow Jones a un massimo intorno a 14400 !! Ecco i sogni selvaggi che si possono alimentare con una tabellina come quella che riporto qui accanto.
I rendimenti annuali per ogni ciclo presidenziale dal 1897 al 2007 li potete trovare in questo file acrobat riassunti da Ned Davis Research: utilizzando come indice di riferimento l'indice Dow Jones Industrial Average ecco una tabella che riassume i risultati calcolati sui 25 cicli presidenziali considerati
Election Post-Election Mid-Term Pre-Election
Year Year Year Year
% anni positivi 70.4 48.1 55.6 81.5
guadagno
totale % 242.1 134.0 100.4 341.4
rendimento annuale
medio % 9.0 5.0 3.7 12.6
rendimento annuale
mediano % 7.6 -0.6 2.1 15.2
Nello Stock Trader Almanac 2010, a pagina 130, è riportata una analisi simile estesa però fino al 1833, per complessivi 43 cicli. Ecco come cambia la tabella di cui sopra se si estende in questo modo l'analisi
Election Post-Election Mid-Term Pre-Election
Year Year Year Year
% anni positivi 65.9 44.2 59.1 75.0
guadagno
totale % 254.5 67.3 176.0 464.0
rendimento annuale
medio % 5.8 1.6 4.0 10.5
La migliore discussione sul ciclo presidenziale di cui sono a conoscenza è quella degli analisti di CXO, che cercano di valutare la signficatività statistica di questo tipo di risultati, e dalla quale ho tratto la figura che vi ripropongo qui sotto: l'unico anno che sembra avere qualche chance di scostarsi significativamente dalla media è proprio il terzo, quello pre-elettorale. Abbastanza per alimentare qualche sogno per il 2011, anche se considerevolmente meno selvaggio di quello che vi ho descritto sopra. Attenzione però a non dimenticare che questo tipo di analisi si basa su campioni molto molto piccoli: la confidenza in qualsiasi conclusione basata su un'analisi statistica come quelle riportate oggi è necessariamente davvero molto bassa.
Questo tipo di analisi è molto popolare negli Stati Uniti, anche grazie al popolarissimo Stock Trader Almanac, curato da e giunto ormai alla sua 44esima edizione annuale. Nell'introduzione dell'edizione 2010, scritta oltre un anno fa, si faceva riferimento al fatto che il 2010 è un Midterm election year,
tradizionalmente il secondo del ciclo quadriennale, con rendimenti migliori soltanto dell'anno post-elezioni. Secondo l'almanacco 2010, proprio sulla base dell'analisi del ciclo presidenziale, non si può escludere un rally che dai minimi del Midterm Year si spinga fino a raggiungere un picco l'anno successivo con un rialzo medio di poco inferiore del 50%, e comunque nel 90% dei casi superiore al 23%. Se come minimo per il 2010 si confermasse quello toccato nel luglio scorso (intorno a 9600 per il Dow Jones), il 2011 potrebbe dunque vedere un rialzo fino ad un massimo che nell'ipotesi più prudente si collocherebe a un livello poco superiore a quello attuale, mentre se confermasse le medie storiche potrebbe spingere l'indice Dow Jones a un massimo intorno a 14400 !! Ecco i sogni selvaggi che si possono alimentare con una tabellina come quella che riporto qui accanto.
I rendimenti annuali per ogni ciclo presidenziale dal 1897 al 2007 li potete trovare in questo file acrobat riassunti da Ned Davis Research: utilizzando come indice di riferimento l'indice Dow Jones Industrial Average ecco una tabella che riassume i risultati calcolati sui 25 cicli presidenziali considerati
Election Post-Election Mid-Term Pre-Election
Year Year Year Year
% anni positivi 70.4 48.1 55.6 81.5
guadagno
totale % 242.1 134.0 100.4 341.4
rendimento annuale
medio % 9.0 5.0 3.7 12.6
rendimento annuale
mediano % 7.6 -0.6 2.1 15.2
Nello Stock Trader Almanac 2010, a pagina 130, è riportata una analisi simile estesa però fino al 1833, per complessivi 43 cicli. Ecco come cambia la tabella di cui sopra se si estende in questo modo l'analisi
Election Post-Election Mid-Term Pre-Election
Year Year Year Year
% anni positivi 65.9 44.2 59.1 75.0
guadagno
totale % 254.5 67.3 176.0 464.0
rendimento annuale
medio % 5.8 1.6 4.0 10.5
La migliore discussione sul ciclo presidenziale di cui sono a conoscenza è quella degli analisti di CXO, che cercano di valutare la signficatività statistica di questo tipo di risultati, e dalla quale ho tratto la figura che vi ripropongo qui sotto: l'unico anno che sembra avere qualche chance di scostarsi significativamente dalla media è proprio il terzo, quello pre-elettorale. Abbastanza per alimentare qualche sogno per il 2011, anche se considerevolmente meno selvaggio di quello che vi ho descritto sopra. Attenzione però a non dimenticare che questo tipo di analisi si basa su campioni molto molto piccoli: la confidenza in qualsiasi conclusione basata su un'analisi statistica come quelle riportate oggi è necessariamente davvero molto bassa.
Etichette:
cicli stagionali,
mercato azionario USA
Iscriviti a:
Post (Atom)