lunedì 24 ottobre 2011

Lezioni dimenticate o mai imparate?

Un articolo sul New York Times analizza il bailout di Dexia, nei limiti che la pochissima trasparenza di questo tipo di operazioni rende  possibile. Le sue conclusioni ricordano come la crisi del 2008 sia stata ahinoi inutile e sprecata almeno per quanto riguarda il problema  del moral hazard e del bisogno urgente di riportare il sistema finanziario in condizioni che consentano nuovamente di dire: "chi rompe paga (e i cocci sono suoi)"

Economists and financial players are closely watching how European officials handle Dexia’s financial contracts, which span the globe, to see what that might mean for other European banks that might need government support. As trading partners demand more cash, those demands could consume more of the money put up by the Belgian, French and Luxembourg governments.
“We know what the guarantees are that the government put down, but you don’t know how much the taxpayer will end up paying,” said Paul De Grauwe, a professor of economics at Katholieke Universiteit Leuven in Belgium. “I’m pretty sure there are other banks in Europe that have done similar things and may be caught in the crisis that is now brewing. I don’t think this is an isolated incident.”
It may be difficult for European governments to avoid making bank trading partners whole, especially American institutions, since the United States government paid full value to foreign banks that dealt with A.I.G. and also opened Federal Reserve programs to troubled foreign banks. Dexia, for example, leaned heavily on emergency lending programs created by the Fed during the depths of the financial crisis. At its peak borrowing near the end of 2008, Dexia received $58.5 billion from the Fed.
Some financial players may also argue that since France and Belgium took equity stakes in Dexia in 2008 — as part of the government bailout then — there was an implicit guarantee of the company’s obligations, similar to that of the housing finance giants Fannie Mae and Freddie Mac in the United States.
Walker F. Todd, a research fellow at the American Institute for Economic Research and a former official at the Federal Reserve Bank of Cleveland, said governments were setting a troubling precedent when they bailed out a company and paid its trading partners in full, as occurred with A.I.G. and as might occur with Dexia.
“In the short run, it would help if the authorities would say they refuse to provide publicly funded money for the payoffs of derivatives,” he said. “This is like using public funds to support your local casino. It is difficult to see how this is good for society in the long run.”
Per un'analisi di come le istituzioni europee stiano finanziando con denaro pubblico le banche, e così danneggiando i bilanci nazionali e alimentando il rischio sistemico (cosa che si tende a dimenticare: la socializzazione delle perdite porta inevitabilmente ad una razionale e naturale disinvoltura nelle scommesse finanziarie, alimentando l'instabilità), vi raccomando la lettura dell'articolo di Adriana Cerretelli sul Sole 24 Ore di un paio di giorni fa. Scrive la Cerretelli:
In ciascuno di questi negoziati, uno degli argomenti forti che i tedeschi hanno messo sul tavolo per mettere in riga il terzetto dei reprobi è stato il seguente: come si può chiedere ai contribuenti dei Paesi virtuosi di pagare per quelli che non fanno il loro dovere e violano le regole europee?
Evidentemente l'argomento è buono per i greci, ma non per le banche tedesche, visto che apparentemente non importa se, anche nel loro caso, sono stati spesso comportamenti incauti e dissennati, la calamita di allettanti tassi di interesse nel Sud Europa all'origine delle difficoltà in cui si dibattono. E che si intrecciano proprio con quelle di Grecia & C. In una sorta di nemesi storica, che investe tutta l'eurozona.(...) la sensibilità schizoide con cui si sta giocando la partita della duplice crisi europea suscita molte perplessità e altrettanti punti interrogativi.
Sono sempre i numeri a parlare. L'economia della Grecia rappresenta il 2% dell'eurozona e il suo debito il 3%. Fosse stato ben gestito in famiglia, un problema quasi irrilevante.
Tra il settembre 2008 e il dicembre 2010, invece, nel tentativo di stabilizzare un settore investito dalla bufera finanziaria, i 27 dell'Unione hanno mobilitato ben 4.285 miliardi di euro a sostegno degli istituti di credito, cioè il 36% del Pil dell'Unione europea e il 10% del totale degli attivi bancari. Con Germania e Gran Bretagna con una quota ciascuno superiore ai 500 miliardi.
Nell'articolo trovate snocciolate le cifre degli aiuti erogati (1240 miliardi, oltre il 10% del PIL dell'Unione Europea) in forma di garanzie (757 miliardi), ricapitalizzazioni (303), gestione di titoli spazzatura (104) e linee di credito (77), con le banche inglesi, tedesche e francesi tra le maggiori beneficiarie. Il punto comunque non è solo economico ma anche e soprattutto politico investendo direttamente il processo di unione dell'Europa 
In effetti si parla tanto della "pessima" Grecia, non si esita a criminalizzarne le malefatte (innegabili) invocando e decidendo punizioni esemplari e dissuasive. Molto meno degli effetti e delle conseguenze che il salvataggio degli istituti di credito sta avendo sulla costruzione europea. Sulla sua stessa cultura. Una volta non solo gli aiuti di Stato, ma anche le garanzie erano vietate per le banche nel mercato unico. Si promuovevano mercato e privatizzazioni insieme al ritiro dello Stato dall'economia oltre a bilanci pubblici sani. In nome dell'emergenza questa logica è stata di fatto completamente capovolta. «La verità è che ormai siamo dominati dal pensiero economico e finanziario, abbiamo completamente dimenticato quello industriale», denuncia un alto funzionario. La verità però è anche un'altra. Questa Eurozona sempre più spregiudicata e intergovernativa sembra dimenticare che moneta e mercato unico devono procedere di conserva: se cominciano a traballare insieme, perché si capovolgono le regole che ne garantiscono la salvaguardia, prima o poi sarà anche l'Europa intera a saltare. Ma non sarà la Grecia a deciderne le sorti. 

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